cambiamento2Traggo dall’ultimo libro di Federico Rampini “Non ci possiamo più permettere uno stato sociale? Falso!”, che consiglio vivamente, alcuni dati interessanti sulle inefficienze del sistema Italia.

Considerando gli occupati, le ore lavorate in un anno dagli italiani sono 1744 contro le 1705 degli americani, le 1480 dei francesi e le 1411 dei tedeschi. La produttività per ogni ora lavorata è la seguente: 60,9 $ per gli Stati Uniti, maggiore di 55 $ per la Germania e la Francia e solo 45 $ per l’Italia.

Se vogliamo recuperare competitività è chiaro che dobbiamo raggiungere lo stesso livello di produttività di Francia e Germania, cosa tanto più importante in quanto siamo il secondo Paese manifatturiero dell’eurozona. Come fare? La leva sulla quale in questi anni si è agito prevalentemente è stata quella del mercato del lavoro: una liberalizzazione del mercato ed una relativa riduzione delle tutele per ridurre la componente costo del lavoro e su tale base recuperare la produttività. Indipendentemente dai risultati fino ad ora ottenuti (le azioni non hanno prodotto neanche un’inversione di tendenza utile per proseguire fiduciosi nell’esperimento), tre considerazioni segnalano l’inadeguatezza di un’azione prioritaria (se non esclusiva) su questa leva:

  1. Guardiamo i numeri: partendo da dati ISTAT, considerando gli occupati, il costo orario lordo medio è di ca. 20 €: dovremmo ridurre il costo orario di 7,5 €, pari a ca. 10 $, per recupere il gap, con una riduzione del compenso netto poco meno che proporzionale, diciamo del 25%. Si passerebbe da  una retribuzione mensile di 1.400 € ad una di 1.050;
  2. Se osserviamo l’andamento della bilancia commerciale italiana, questa negli ultimi anni è sostanzialmente in pareggio: la lieve positività riscontrata nel 2012 sembra maggiormente imputabile ad una contrazione dei consumi piuttosto che ad un effettivo aumento delle esportazioni. Il mercato interno è fondamentale per sostenere il nostro sistema produttivo (in Germania incide per ca. il 35%);
  3. Per ultimo, ma non per importanza: la riduzione dei salari ad un livello medio così basso, oltre ad aumentare ancora di più il gap esistente con le retribuzioni tedesche, che prendiamo come punto di riferimento, genererebbe costi sociali che si scaricherebbero sul welfare, come accaduto, nonostante un livello di welfare decisamente ridotto rispetto la nostro, a Detroit dove i nuovi assunti da Chrysler e GM, con retribuzioni inferiori fino al 50% rispetto ai colleghi più anziani, sono costretti a rivolgersi al sistema di assistenza pubblica Medicaid.

Se quindi la leva mercato del lavoro non sembra praticabile perché comporterebbe gravi effetti recessivi avviando un circuito vizioso sia economico che sociale, l’altro punto per affrontare il problema è aumentare il valore aggiunto prodotto da ogni ora lavorata.

La letteratura ci offre un dato che, a prima vista, nella sua radicalità, può apparire quasi irreale.

TPS tipologie di attività

Se, prendendo spunto dal Toyota Production System[1], distinguiamo le attività produttive in tre tipologie:

  1. Attività che creano valore;
  2. Attività che non creano valore ma non possono essere eliminate (Spreco / Muda di tipo 1);
  3. Attività che non creano valore e che possono essere eliminate (Spreco / Muda di tipo 2).

TPS tipologie di attività percentuali

il dato che emerge è che solo il 20% delle attività realizzate all’interno di un processo produttivo crea valore e ben il 50% di queste sono sprechi che possono essere immediatamente eliminati.

Ma com’è possibile? Come sono giustificabili dati così estremi?

Questi dati sono non solo possibili ma anche drammaticamente reali, come la nostra esperienza ventennale nella gestione di processi di transizione per organizzazioni complesse ci conferma, semplicemente perché sono generati da un punto di vista altro: l’osservazione non è circoscritta alla singola unità produttiva, all’ufficio, al reparto, ma guarda all’intero processo produttivo che va dalla materia prima al cliente finale.

Moltissimi esempi possiamo citare, presenti nella nostra esperienza piuttosto che in letteratura. Più interessante è analizzare un ciclo produttivo che conosciamo bene ed ossevare la differenza fra la durata del ciclo e il tempo lavorativo effettivamente necessario per produrre quel determinato bene o servizio. Nella maggior parte dei casi, i risultati sono sorprendenti, genericamente validi anche se maggiormente rilevanti nelle organizzazioni complesse.

Un esempio? Consideriamo la concessione di una linea di credito per una PMI. La maggior parte di gruppi bancari che aderiscono a Pattichiari indicano un tempo di ciclo di 30 giorni: il tempo lavorativo necessario è di ca. 5 giorni. Anche considerando solo i giorni lavorativi, il tempo di ciclo è uguale al 400% del tempo lavorativo.

Cambiare il punto di vista dal concetto di catena del valore a quello di flusso del valore, altrimenti da una visione sintomatica ad una visione sistemica, offre incredibili opportunità e spazi di azione. E ci consente di interpretare correttamente la realtà nella sua complessità fatta di molteplici interconnessioni.

Perché VW continua a produrre auto in Germania dove lo stipendio di un metalmeccanico è maggiore di ca. il 30% rispetto a quello che lavora in Fiat ed ha inoltre un sistema di tutela sociale molto maggiore? E come ha fatto ad assumere 6000 operai nell’ultimo biennio? Perché HP e Apple, seguite da altre big company, hanno deciso di ri-trasferire alcune produzioni importanti nella Silicon Valley? Perché Ducati, recentemente acquisita da Audi, ha sottoscritto con la FIOM un contratto metalmeccanico che non ha uguali in termini di tutela del lavoro in Italia? E infine, siamo davvero sicuri che sia l’articolo 18 piuttosto che la famigerata FIOM a respingere gli investimenti esteri? O non saranno forse corruzione ed evasione fiscale, unite ad una lentezza della giustizia civile che rende in effetti il diritto non certo, che costituiscono fattori formidabili di alterazione del mercato creando concorrenza sleale?

La realtà è complessa, un caleidoscopio con molteplici colori e sfaccettature: cogliere le differenze, analizzare le molteplici sperimentazioni di successo è un dovere. Ma anche una straordinaria libertà contro l’orrore filosofico ed epistemologico del pensiero unico.

Quindi crisi come Krísis: questo è il momento della scelta.

Andrea Papoff



[1] Taiichi Ohno, Lo spirito Toyota – Einaudi 2004